Il punto è stato chiarito da un granitico orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione, del quale si riportauna sentenza del 2009 a titolo di esempio: “Il rapporto di lavoro a tempo determinato, al di fuori del recesso per giusta causa di cui all'art. 2119 cod. civ., può essere risolto anticipatamente non già per un giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'art. 3 della legge n. 604 del 1966, ma soltanto in presenza delle ipotesi di risoluzione del contratto previste dagli artt. 1453 e ss. cod. civ. Ne consegue che, qualora il datore di lavoro proceda ad una riorganizzazione del proprio assetto produttivo, non può avvalersi di tale fatto per risolvere in anticipo un contratto di lavoro a tempo determinato” (Cass. sent. 3276/2009).
In ossequio a quanto disposto dalla Suprema Corte, il datore di lavoro può recedere dal contratto prima della scadenza del termine solo se si è verificata una circostanza così grave tale da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro (c.d. giusta causa).
L’intervenuta “carenza di lavoro per grave crisi aziendale”, per esempio, non rientra nel novero di ipotesi qualificabili come giusta causa, costituendo di fatti un giustificato motivo oggettivo (quindi di natura economica).
In definitiva, la disciplina dei contratti a termine prevede che, il lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo o pergiustificato motivo soggettivo ha diritto a percepire laretribuzione sino alla scadenza naturale del contratto.
Tale disciplina è stata disposta proprio con il fine di tutelare i lavoratori da eventuali recessi anticipati (e quindi illegittimi).
La regola vale ovviamente anche per il lavoratore, il quale non potrà dimettersi prima della scadenza del contratto, se non in presenza di giusta causa.