Se da un lato la previsione legislativa è volta a contrastare il fenomeno dell’abusivismo, dall’altro risulta ambigua laddove contestualmente stabilisce la nullità dell’atto traslativo e la possibilità della sua conferma, ossia un’ipotesi di sanatoria. L’apparente contraddizione deriva in realtà dal tentativo del legislatore di trovare un punto di equilibrio tra esigenze contrapposte: l’interesse pubblico al contrasto dell’abusivismo e quello alla tutela del traffico giuridico.
La conferma evita la caducazione del contratto e, al contempo, tutela l’acquirente, il quale, a fronte della nullità dell’atto, evita di perdere la proprietà attraverso la conferma del contratto. Se così non fosse, l’acquirente si troverebbe a perdere la proprietà del bene acquistato e vanterebbe il diritto alla ripetizione di quanto pagato, diventando di fatto creditore dell’alienante, con tutti i rischi e le difficoltà legati al recupero del credito.
La norma in esame, tuttavia, si presta a due diverse interpretazioni: la sua formulazione letterale circoscrive la sanzione della nullità alle ipotesi di carenza nel contratto dell’indicazione del titolo di conformità urbanistica (es. permesso di costruire). Una nullità, dunque, testuale che deriva dalla irregolarità formale del contratto e che è però sanabile attraverso la conferma del contratto nullo da parte dell’acquirente. La ratio risiede nella volontà di consentire alla parte acquirente di effettuare un
controllo sulla conformità del bene alla disciplina urbanistica. Pertanto, nel caso di conferma, la mancanza del requisito formale diviene irrilevante.
Ciò che rileva è che la norma non prende in considerazione l’ipotesi in cui il bene non sia conforme alla disciplina urbanistica, bensì si interessa esclusivamente alla irregolarità formale che costituisce fonte della nullità testuale sanabile. In altri termini, la norma non attribuisce rilievo alla sostanziale non conformità del bene alla disciplina urbanistica.
In questa prospettiva, seguita dalla lettura primigenia della Suprema Corte, ci troviamo di fronte alla nullità urbanistica monolitica, ossia a una nullità che si configura a prescindere dalla difformità sostanziale del bene rispetto alla disciplina urbanistica.
Ciò che ha spinto la stessa giurisprudenza, nel corso degli anni, a prescindere da una interpretazione di tipo letterale della norma (che porterebbe evidentemente a un risultato paradossale qualora il bene sia in realtà urbanisticamente conforme, ma, ciò nonostante, nullo per una mera irregolarità formale e viceversa) e a seguire l’idea della doppia nullità urbanistica, derivante da una interpretazione sistematica.
In virtù di questo secondo orientamento giurisprudenziale, la nullità urbanistica comprende sia l’ipotesi della nullità testuale formale sanabile (quella fin qui esaminata), sia quella della irregolarità sostanziale che non consente di escludere la nullità del contratto sebbene sia formalmente regolare.
Non si tratta più quindi di una nullità testuale, ma di una nullità virtuale sostanziale e, come tale, non sanabile in quanto non è prevista una sanatoria dalla legge. In quest’ultimo caso, l’unica possibilità di sanatoria è quella relativa al bene che deve essere reso urbanisticamente conforme.
Il contrasto interpretativo è sfociato in una ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella quale è stata manifestata l’adesione all’orientamento iniziale della giurisprudenza, secondo cui la nullità urbanistica di configura solo come nullità testuale, formale e sanabile.
La tesi seguita nell’ordinanza di rimessione, tuttavia, presenta delle criticità applicative. Innanzitutto, la nullità virtuale sostanziale, essendo tendenzialmente insanabile, rischia di pregiudicare la parte acquirente. Quest’ultima, infatti, per effetto della nullità, perde la proprietà del bene e si trova costretta a sostenere l’alea, i costi e le tempistiche del recupero di quanto pagato per l’acquisto.
In secondo luogo, occorre tenere ben presente come l’irregolarità urbanistica possa essere totale o parziale; una irregolarità essenziale o non essenziale; una irregolarità sanabile o non sanabile. Il concetto di irregolarità sostanziale, posto alla base della nullità virtuale sostanziale, a causa della sua estrema ampiezza presta il fianco a incertezze applicative: viene cioè da chiedersi quando si verifica la nullità virtuale per irregolarità sostanziale, cosa si intende per irregolarità sostanziale, quando la difformità è essenziale e quando non lo è, quando è sanabile e quando non sanabile.
Si tratta di tutti interrogativi che hanno giustificato la tendenza espressa nell’ordinanza di rimessione per la tesi che sposa l’interpretazione letterale della norma, di certo maggiormente a riparo da potenziali dubbi e difficoltà applicative. Secondo questa teoria, qualora il contratto sia formalmente regolare e quindi immune da vizi invalidanti, ma il bene sia sostanzialmente non conforme alla disciplina urbanistica, l’acquirente non resterebbe comunque privo di tutela. Egli, invero, senza necessità di scomodare l’istituto della nullità virtuale, dispone in via esclusiva di altri rimedi, quali la risoluzione del contratto per inadempimento, la tutela inibitoria e la tutela risarcitoria.
La questione, come evidenziato, è stata risolta dalla Suprema Corte che, pronunciandosi a Sezioni Unite con Sentenza 22/03/2019, n. 8230, ha espressamente condiviso il ragionamento sotteso alla teoria della nullità testuale, formale e sanabile, ritenendo irrilevante la conformità o la difformità dell’immobile rispetto al titolo menzionato nel contratto. La Corte ha elaborato la categoria della nullità testuale, stabilendo che “Muovendo doverosamente dal dato normativo, secondo quanto si è sopra esposto, ritiene il Collegio di dover, anzitutto, affermare al lume delle considerazioni sopra svolte ai p.p. 6.7. e 6.8., che si è in presenza di una nullità che va ricondotta nell'ambito dell'art. 1418 c.c., comma 3, secondo quanto ritenuto dalla teoria c.d. formale, con la precisazione essa ne costituisce una specifica declinazione, e va definita "testuale" (secondo una qualificazione pure datane in qualche decisione), essendo volta a colpire gli atti in essa menzionati”(…) “ In costanza di una dichiarazione reale e riferibile all'immobile, il contratto sarà in conclusione valido, e tanto a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo in esso menzionato, e ciò per la decisiva ragione che tale profilo esula dal perimetro della nullità, in quanto, come si è esposto al p. 6.5., non è previsto dalle disposizioni che la comminano, e tenuto conto del condivisibile principio generale, affermato nei richiamati, precedenti, arresti della Corte, secondo cui le norme che, ponendo limiti all'autonomia privata e divieti alla libera circolazione dei beni, sanciscono la nullità degli atti debbono ritenersi di stretta interpretazione, sicché esse non possono essere applicate, estensivamente o per analogia, ad ipotesi diverse da quelle espressamente previste”.