Il Transfer Pricing

È possibile applicare tale istituto nelle transazioni commerciali effettuate tra società del medesimo gruppo e residenti in Italia?

Il Transfer Pricing riguarda il trasferimento di quote di reddito, attuato tra società facenti parte del medesimo gruppo ma con sedi in Paese differenti, mediante operazioni economiche, quali, ad esempio, cessione di beni o prestazione di servizi, in cui risulta alterato il valore stabilito per il bene e/o servizio oggetto della stessa.

In altre parole, il valore si discosta da quello che sarebbe praticato se l’operazione fosse avvenuta tra soggetti terzi tra loro.

Tale istituto è disciplinato dall’articolo 110 D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, c.d. Testo Unico delle imposte sui redditi il quale prevede che “i componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, determinato a norma del comma 2, se ne deriva aumento del reddito.”

Gli elementi essenziali che determinano l’applicazione del predetto istituto sono: la non residenza in Italia di uno dei soggetti coinvolti nell’operazione, il loro rapporto di controllo/collegamento, l’aumento del reddito risultante dall’operazione. Quando sussistano tutti gli elementi applicativi, le operazioni tra imprese associate si considerano effettuate al valore normale e non al prezzo tra esse concordate.

Ai sensi dell’articolo 9 del D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 per valore normale dell’operazione si intende “il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquistati o prestati e, in mancanza, nel tempo o nel luogo più prossimi”.

Avendo analizzato la disciplina generale del Transfer Pricing, è necessario valutare se questo istituto possa essere applicato nelle transazioni commerciali realizzate tra società del medesimo gruppo tutte residenti in Italia.

Si parla in questo caso di Transfer pricing domestico le cui operazioni, alla stregua della portata letterale dell’articolo 110 del D.P.R., dovrebbero essere escluse dall’ambito applicativo dello stesso.

La Corte di Cassazione con sentenza n. 17955 del 2013, ha affermato che nell’ipotesi di transfer pricing domestico deve essere applicato il “principio, avente valore generale, stabilito dall’art. 9 del D.P.R. 917/1986, che non ha soltanto valore contabile e che impone, quale criterio valutativo, il riferimento al normale valore di mercato per corrispettivi e altri proventi”.

Tale orientamento viene confermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 12844 del 2015 la quale ha affermato che “la valutazione a fini fiscali delle manovre sui prezzi di trasferimento interni, costituenti il c.d. transfer pricing domestico, va applicato il principio, avente valore generale, stabilito dal D.P.R. n. 917 del 1986, che non ha soltanto valore contabile e che impone, quale criterio valutativo, il riferimento al normale valore di mercato per corrispettivi e altri proventi, presi in considerazione del contribuente”.

Purtroppo, ad oggi, la possibilità di applicare tale istituto alle operazioni realizzate tra società residenti in Italia non è opinione consolidata nella giurisprudenza di merito. 

Difatti, giova evidenziare come la Corte di Cassazione, optando per un orientamento differente, con sentenza n. 16948 del 25 giugno 2019 ha affermato che non sarebbe applicabile l’istituto del Transfer Price alle operazioni compiuta da parte di società entro i confini nazionali. La Corte ha chiarito che è stata esclusa la natura antielusiva del Transfer Pricing internazionale, in quanto è finalizzata solamente alla repressione del fenomeno economico, da intendersi quale spostamento dell’imponibile fiscale a seguito di operazioni tra società appartenenti al medesimo gruppo, ma soggette a normative nazionali differenti. La valutazione dello scostamento del valore dell’operazione da quello normale non può fondare alcuna analisi di elusività della transazione per quelle nazionali. In via residuale, la suddetta discrepanza potrà solo essere considerata alla stregua di un mero indizio per la verifica dell’antieconomicità dell’operazione.

Concludendo, per dare certezza circa l’impossibilità di applicare l’istituto in questione alle operazioni effettuate tra società tutte residenti in Italia, viene in rilievo il D.lgs. n. 147/2015 dove, all’articolo 5 in tema di disposizioni in materia di costi black list e di valore nominale, prevede che “è introdotta una norma di interpretazione autentica ai sensi della quali la disciplina in materia di Transfer Pricing non si applica alle operazioni intercorse tra imprese appartenenti allo stesso gruppo in Italia. La norma trova applicazione a decorrere dal periodo d’imposta 2015”