IL COMPENSO DELL’AMMINISTRATORE DI SOCIETA’

“L’amministratore di società ha diritto al compenso?”

La questione del compenso dell’amministratore di società, così come quella della natura del rapporto professionale intercorrente con la stessa, è da sempre fortemente dibattuto in dottrina e giurisprudenza. Tuttavia, si ritiene ormai consolidato l’orientamento di legittimità volto a riconoscere alla carica di amministratore di società natura presuntivamente onerosa. Da ultimo, Cass. Civ., Sez. L., 26 gennaio 2021, n. 1673, la quale ha ribadito come, con l’accettazione della carica, l’amministratore abbia diritto ad essere remunerato per l’attività svolta in esecuzione dell’incarico affidatogli.

In tema di doverosità del compenso spettante all’amministratore di società di capitali, è indispensabile accennare preliminarmente alla natura del rapporto che si instaura tra questi e la società a seguito dell’accettazione dell’incarico.

Ai sensi dell’art. 2364 c.c., nelle S.p.A. gli amministratori sono nominati dall’assemblea. La deliberazione assembleare costituisce un atto unilaterale della società, in relazione al quale il futuro gestore non gioca alcun ruolo. La persona menzionata nella deliberazione assembleare come nuovo amministratore non diventa, tuttavia, tale per effetto della sola delibera. E’, invero, necessaria una sua espressione di volontà con la quale dichiari di accettare l’incarico che gli viene offerto.

Accettato l’incarico, il gestore diviene destinatario di una serie di doveri da osservare e di alcuni diritti, tra cui quello al compenso.

A lungo, dottrina e giurisprudenza hanno dibattuto sulla natura da riconoscere a tale rapporto gestorio.

Dapprima, la teoria c.d. “contrattuale”, la quale, in ragione della natura continuativa e prevalentemente personale della prestazione resa (ex multis, Cass., Sezioni Unite, n. 10680 del 1994), e successivamente quella c.d. “organica”, la quale, escludendo l’aspetto della “coordinazione” tipica dei rapporti subordinati/parasubordinati, ravvisa un rapporto di immedesimazione organica tra amministratore e società (Cass., Sezioni Unite, n. 1545 del 2017).

Anche le più recenti pronunce della Suprema Corte sono concordi nel riconoscere natura organica al rapporto in questione, pur ammettendo la “compatibilità di un rapporto di lavoro subordinato fra un membro del consiglio di amministrazione di una società di capitali, ovvero dell’amministratore delegato e la società stessa, purché sia data prova della sussistenza del vincolo di subordinazione e pertanto della soggezione, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società nel suo complesso” (Cass., sezione lavoro, ordinanza 16 aprile 2021, n. 10156).

Ovviamente, perché sia possibile riconoscere un rapporto di lavoro di tipo subordinato tra i predetti soggetti, è necessario che colui che intende far valere tale tipo di relazione fornisca la prova della “sussistenza del vincolo della subordinazione e, cioè, dell’assoggettamento, nonostante la suddetta carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società nel suo complesso” (Cass., Sez. I civ., 24 maggio 2019 n. 14326).

Ciò posto, anche laddove non sia ravvisabile un rapporto di lavoro subordinato, la teoria maggiormente condivisa di immedesimazione organica tra amministratore e società di capitali, non esclude la doverosità del compenso a favore dell’amministratore.

Tale assunto trae origine dal combinato disposto degli artt. 2389 e 2364 c.c., i quali affidano il compito di determinare il compenso dell’amministratore sia all’atto costitutivo o allo statuto, che all’assemblea dei soci, al momento della nomina o in un momento successivo.

La giurisprudenza è ormai granitica nel ribadire la presunzione di onerosità dell’incarico gestorio della società, il quale si pone come adempimento al mandato ricevuto, naturalmente oneroso ai sensi dell’interpretazione estensiva dell’art. 1709 c.c. in tema di mandato.

Emblematica di quanto fin qui esposto è stata la pronuncia della Suprema Corte del 26 gennaio scorso, n. 1673, laddove, nel riconoscere la natura di immedesimazione organica al rapporto intercorrente tra l’amministratore e la società, ha contestualmente stabilito la natura presuntivamente onerosa dell’incarico da questi svolto.

Nel caso sottoposto all’attenzione della Corte, il ricorrente (amministratore) lamentava la violazione degli artt. 1709, 2364 e 2389 c.c., che aveva indotto il Tribunale di Padova a rigettare l’opposizione allo stato passivo del Fallimento (…) S.r.l. con socio unico, dal quale era stato escluso il suo credito a titolo di retribuzione non corrisposta quale compenso di amministratore unico.

Ebbene, i Giudici di legittimità, accogliendo il ricorso, hanno espressamente chiarito che “l’incarico di amministratore di società ha natura presuntivamente onerosa, sicché egli, con l’accettazione della carica, acquisisce il diritto di essere compensato per l’attività svolta in esecuzione dell’incarico affidatogli” e che, laddove non è alcuna allegazione di una previsione statutaria di gratuità dell’incarico amministrativo, “al giudice di rinvio deve essere devoluta la determinazione del compenso eventualmente spettante all’amministratore, alla luce del principio giuridico di onerosità dell’attività prestata”.